Potremmo partire da un audace Salvini che, in barba alla più elementare grammatica, fa di un participio presente – galeotto fu un “migrante” – un gerundio. O dal «sarò breve e circonciso» del pentastellato Davide Tripiedi, corretto repentinamente in aula dal presidente di turno Simone Baldelli («coinciso, quella è un’altra cosa»), che trasformò la gag da estremamente ilare a un tantino pietosa. Per poi ricordare la Santanchè, per cui una “h” di troppo non stona mai: «E se riuscisse Il Giornale ha fare quello che non siamo riusciti a fare in 20 anni?». Fino ad arrivare al goliardico «Buona Pascuetta» con cui l’onorevole Antonio Razzi salutò a mezzo Facebook i suoi seguaci il lunedì in Albis di un anno fa.
Più democratico che mai, lo “strafalcione” – che sia sul selciato scivoloso della grammatica o in quello sconfinato di fatti e contenuti – non conosce ideologia. Colpisce a destra e a manca, si fa beffe della statura politica, dando il malcapitato in pasto allo sfottò della sanguinaria gabbia di leoni che è la rete. È pur vero che la battitura ansiogena da social non gioca a favore della precisione – e qualche sbavatura tutto sommato è concessa – ma sembra i politici nostrani siano diventati degli habitué degli “orrori” da penna blu. Tanto fastidiosi da far rivoltare puristi e cultori della lingua, ma anche i lettori meno distratti.
A inaugurare un 2016 di gaffe Maurizio Gasparri, tra i privilegiati della gogna mediatica. Evidentemente poco incline al rock, lo scorso gennaio il senatore scambia in un tweet Jim Morrison per un ladro slavo. Ora, che Gasparri non annoveri nella sua playlist musicale la discografia dei Doors ci sembra poco difficile da credere, ma si vede che neppure l’obiettività gli appartiene se a quello scivolone ha aggiunto un manicheo: «I fan di Doors sono un branco dei drogati». Le sviste, però, non finiscono qui. A marzo il profilo Twitter del senatore ha cinguettato un inedito “chiesimo” al posto di “chiedemmo” («È vero che Giorgia Meloni è figlia della storia di destra e proprio per quello a suo tempo le chiesimo la disponibilità»). In realtà nello sgambetto teso dal (neanche poi tanto subdolo) passato remoto è inciampato Luca Ferlaino, responsabile della comunicazione del politico, ma internet non bada ai particolari e su Gasparri si è abbattuto il gabbo degli utenti.
Un’altra chicca ce l’ha regalata Antonello Paparella, candidato sindaco di centrodestra a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari. Nel clou della campagna elettorale, sbracciando di fronte a una piazza in ascolto e incensando il suo partito, ha detto: «Noi abbiamo la capacità di fare un mea culpa e di anteporre quelle che sono le questioni personali agli interessi di un’intera collettività». Gaffe ripresa e immortalata su Youtube, a onor di cronaca.
Ma la corona d’alloro se la aggiudica Matteo Renzi. Il premier, noto per le agili orazioni e le faraoniche vedute, in un impeto di orgoglio nazionalistico ha azzeccato il marchio made in Italy ad una sofisticata opera ingegneristica svizzera: la galleria di San Gottardo, che non tocca l’Italia né dal punto di vista costruttivo né da quello finanziario. Manco a dirlo, risate di qua e di là delle Alpi. Tanto che, a colpi di battute e vignette, il web ha ironizzato ricordando la prossima inaugurazione della Sfinge, prodotto dell’ingegno italo-egiziano.