Giorni fa sono andata a correre, alle diciotto di sera, presso la Mostra d’Oltremare di Napoli. Ovviamente era chiusa. Un’altra si sarebbe arresa, sarebbe andata a consolarsi nella profumeria appena aperta sulla via del ritorno, e forse si sarebbe fermata alla friggitoria sotto casa per acquistare un sacchetto di cellulite da portar via, altrimenti detto misto di zeppole e crocché. Ma non una corritrice. Una corritrice seria si sistema le cuffie e corre lungo il primo rettilineo disponibile, ed è quello che ho fatto anche io. Decido di mettere in cima alla mia playlist il tormentone del momento: Despacito, non perché il ritmo latino sia utile all’allenamento, ma perché volevo auto convincermi che correndo più veloce sarei fuggita da quel motivetto martellante. Tuttavia “gli effetti di Despacito sulla gente” hanno iniziato a farsi sentire e dopo circa dieci minuti, in pieno stile The Jackal, il mio passo era diminuito e avevo iniziato a canticchiare il ritornello per le vie di Fuorigrotta.
È utile chiarire a coloro che non hanno mai visitato Napoli che la planimetria del quartiere Fuorigrotta non è adatta alla corsa, ma i residenti non lo sanno e ci provano lo stesso. Forse è stata pensata così in virtù di un principio darwiniano, altrimenti non si spiegherebbe perché abbiano deciso di accostare mortali attraversamenti pedonali e semafori spenti allo stadio cittadino e a uno dei complessi fieristici più grandi del sud Italia. Un proposito scientifico evidentemente fallito vista la calca che continua a riversarsi al San Paolo durante le partite, i nerd che hanno come annuale ritrovo la Mostra, e i runners che corrono su strade scalcinate come se intorno avessero il lungomare di Mergellina.
Gli appartenenti a quest’ultima categoria, probabilmente ispirandosi al regno animale, precisamente ai criceti nella ruota, corrono intorno allo stadio. Ci ho provato, ma tra i gas di scarico dei trerrote diretti al mercatino rionale, i clacson impazziti, e i numerosi tentativi d’investimento nei pressi della tangenziale, ho deciso di evitare la selezione naturale spostandomi su viale Kennedy. Viale Kennedy è una strada sempre trafficata, dotata di marciapiedi strettissimi totalmente occupati da una pista ciclabile che quanto a inutilità supera addirittura il fidget spinner.
Quaranta minuti e due litri di sudore dopo mi sentivo soddisfatta, avrei girato le scarpette e sarei tornata indietro, non fosse stato per la mia applicazione per il fitness, che ha iniziato a emettere bip di rimprovero perché non avevo ancora raggiunto il mio obiettivo giornaliero, come se la sera prima avessi cenato a base di tripla pizza con cornicione ripieno di cicoli e ricotta. Sarà stato almeno due sere prima.
Decido quindi di andare verso il pontile di Bagnoli. “Il pontile chiude alle sette”. Saranno stati gli olezzi della Solfatara, la prospettiva di vedere il mare, la disidratazione, fatto sta che in quel momento lo stress accumulato alla scrivania si è riversato fuori: senza sapere come mi sono ritrovata a correre verso il lungomare di Pozzuoli. E ci sono arrivata!
Ora, se questo fosse stato un pezzo comico, avrei potuto forse fermarmi qui, ma dato che si tratta di una cronaca tragicomica, e il tragico, come il peggio, deve ancora venire, mi sento moralmente obbligata a continuare.
“Il mio regno per una bottiglietta d’acqua!” “No signorina basta un euro”: a malincuore ho dato il mio unico euro al bar e mi sono fermata a riflettere su come sarei riuscita a tornare a casa con le mie gambe. Non avevo i soldi per prendere un mezzo pubblico; inoltre chiamare i miei genitori, il mio fidanzato o le mie amiche sarebbe servito solo ad appurare che non si sentivano neanche in dovere di inventarsi una scusa per non venire a recuperarmi. Cosa effettivamente appurata quattro chiamate e conseguenti quattro “no, fa Selfie in tv”.
Sconsolata presi la cumana senza fare il biglietto. Otto e venticinque di una mite sera di maggio: quanti controllori saranno stati al lavoro? Non saprei, uno sicuramente. Quello che mi ha fatto la multa.