“Se un uomo, per dirvi che vi ama, reputa opportuno inviarvi un whatsapp, speditelo, senz’altro in Groenlandia a somministrare enteroclismi alle foche. L’individuo che per esprimere certi sentimenti a una donna sente ancora la necessità di scriverle è come chi, per salire sul tram, ricorra a una scala a piuoli”
Non l’ha scritto Selvaggia Lucarelli su facebook ma uno scrittore spagnolo del Novecento, oggetto della sua invettiva non era ovviamente whatsapp ma la lettera. Quale insegnamento può trarne la generazione dei millennials? Che in Groenlandia ci sono le foche e che l’uomo non muta con l’avanzare dei secoli. Il senso del trafiletto infatti è ben applicabile al tipo di uomo che scrive imperterrito sulla chat di messaggistica istantanea senza mai prendere l’iniziativa, e si vede comparire nella nuvoletta di sinistra “caffè oggi alle 17?” chiude tutto, toglie la sim dal telefono, getta la sim nel water e per sicurezza calpesta il proprio iPhone5.
Ci sono vari motivi che portano il maschio italico ad agire in questo modo, per lo più sconosciuti anche al chattatore stesso. Il caso più comune è quello dell’amante dei flirt al quale però non piace compromettersi con incontri a lume di candela, da una parte perché troppo terrorizzato dall’idea di farsi beccare dal partner, dall’altra perché così l’amante virtuale verrebbe a conoscenza del partner.
Conflitto d’interessi a parte, cosa spinge un uomo single, economicamente indipendente, magari pure con qualche filo d’argento tra i capelli, a far consumare giga preziosi alla controparte in chat, al posto di spritz a un aperitivo?
Questo mistero della fede, similmente alle scie chimiche, ai messaggi alieni nei campi di grano, e alle ciabatte col pelo Gucci, non può essere spiegato, ma solo indagato. E chi se non la cintura nera dei social può illuminare le donne e gli uomini che ogni giorno combattono contro il chattatore seriale in attesa di almeno un tiepido caffè? Non Adam Kadmon ma Selvaggia Lucarelli. Selvaggia si batte da sempre per fare capire agli utenti dei vari social che quello che avviene lì avviene anche nella vita reale, per questo si dovrebbe rispondere anche dei crimini commessi stando dietro lo schermo di un computer. Si tratta di una causa nobile e difficile, ma non difficile quanto fare capire al messaggiatore fantasma che l’emoticon del martini non è un vero martini, che guardarsi vicendevolmente le stories non equivale a un incontro vis-à-vis e, per i furboni impegnati, che il flirt telematico non ha niente di meno compromettente rispetto al classico flirt in ufficio. La missione davvero impossibile però resta fare capire alla vittima del messaggiatore seriale che procurarsi l’artrite da touch screen non gli darà l’amore oggetto del suo desiderio ma solo l’ennesimo smile, forse anche qualche reaction floreale su facebook.
Il consiglio di redazione in sostanza è seguire l’esempio di Selvaggia. Intraprendere una battaglia contro l’uso scorretto dei profili virtuali? No, smettere di chattare con attempati “vorrei ma mi limito a postare” per incontrare aitanti toyboy.
Grazie Selvaggia, non ci arrenderemo.