Farsi del male. Noi italiani, in questo, siamo campioni. In politica quante volte eleggiamo i peggiori? O, come si dice, i «meno peggio»? Quante volte godiamo nell’atterrare i migliori, nel professare l’inguaribile spirito di contraddizione? Figurati negli altri campi. Abitudinari e reazionari per natura (siamo tutti Fantozzi), dissacratori per indole (Alberto Sordi uno di noi!), smontatori sistematici d’entusiasmo (“Ma mi faccia il piacere”, Totò docet), gli italiani, se parlavi degli Europei di calcio 2016, avevano già la sentenza in tasca, soprattutto gli antijuventini: l’Italia di Conte esce al primo turno. Meglio Fellaini e cavallo pazzo Nainggolan che i nostri antidivi Giaccherini e Parolo. Sappiamo com’è andata la partita, come Bonucci sia stato posseduto dal demone di Pirlo, come Candreva abbia gigioneggiato sulla fascia, come Barzagli abbia governato la difesa, come il pubblico abbia ritrovato una squadra. Però, anche quando si esulta per una prestazione gagliarda, la predisposizione tutta made in Italy di farsi del male da soli, non si perde mai. Ma proprio mai.

Al primo gol di Giaccherini, l’evento è stato accolto dalla panchina azzurra con un’esultanza simile a quella di una tribù di cannibali che scorge l’arrivo di un galeone carico di cento Mario Adinolfi. Un delirio di gioia così scomposto e infantile da provocare, per una capata in bocca del delicato Zaza contro l’euforico Conte, l’apertura di una sanguinosa ferita sotto il naso del mister che, come se non fosse successo niente, ha continuato a gioire e inveire, sputare contro il centrocampo, insultare Chiellini e incitare un allucinato Darmian. Mentre la zona della panchina italiana con i minuti si trasformava, dopo i fiumi di sangue versati da Conte, in uno spicchio di Omaha Beach nell’incipit di Salvate il soldato Ryan, a fine partita, domati i fumosi belgi, un’altra esultanza ha tinto di dolore la vittoria. Stavolta capitan Buffon, in preda a un raptus da bimbominkia, ha puntato la traversa per esibirsi in un salto con presa, ahimè non riuscito e tragicamente finito con una schienata terribile tra l’ilarità dei calciatori e del pubblico festante.

Resosi conto della figurella in mondovisione, il Gigi nazionale si è alzato come fa Pieraccioni nel Ciclone quando si schianta, in presenza delle conturbanti spagnole, con il suo sgangherato motorino. Su Sky Ilaria D’Amico, compagna del portierone, ha tenuto a rimarcare la caduta del suo semidio quasi a voler far capire alla Nazione con chi ha progettato il suo futuro. Insomma, anche esultando ci facciamo del male. Niente di nuovo sotto il sole. Siamo un popolo di cascatori, coglioni, mister, santi e navigatori. Un popolo così sanguigno da essere costretto, a fine partita, a ricorrere alle trasfusioni.

Crede di essere raccomandato dalle idee: capita ogni tanto che ci credano anche gli altri. Giornalista per vocazione ed editore per invocazione, non riesce a levarsi il vizio del sorriso. Assediato da seccatori e stucchevoli scrittori, avrebbe bisogno di una segretaria, possibilmente equilibrata e con un epico lato b, ma non è ancora pronto per questa decisiva prova di maturità. Con sé ha sempre un anello ricavato dal nocciolo di una pesca. È considerato un soggetto pericoloso perché continua a scrivere poesie. Quando s’incazza è solito dire: «Io, sulle mie cose non faccio testo».

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