Sergio Giuffrida, attore comico e cabarettista, nato a Gela in provincia di Caltanissetta ma trasferitosi a Roma all’età di tre anni, è il vincitore di S.o.S. Cabaret 2017. Ha sbaragliato attori e intere compagnie, giunti da tutta Italia, con lo spettacolo “Ma non è possibile!”.
La proposta di Giuffrida è risultata quella che maggiormente rispecchiava il connubio tra teatro e cabaret che è alla base del nostro concorso, questa la motivazione di Samuele Boncompagni, uno degli organizzatori della manifestazione toscana.
Quello di S.o.S. Cabaret non è certo il suo primo riconoscimento. Il comico romano è avvezzo ai trionfi, nella sua carriera di concorsi ne ha vinti tanti tra cui il Festival Nazionale di Cabaret di Torino dove ha ricevuto il premio della critica.
Perennemente in tour, nei suoi spettacoli, caratterizzati da una forte mimica facciale, ama utilizzare voci e dialetti diversi. In Tv, invece, lo abbiamo visto nel cast di Colorado delle scorse edizioni.
Fare il cabarettista per Sergio Giuffrida è stata quasi una vocazione, ama stare in mezzo alle persone e il palco è il suo habitat naturale. La vita per lui è un bicchiere sempre mezzo pieno ed è con questa visione che cerca di affrontare ogni cosa sempre col sorriso. Ed è con il sorriso e la sua spiccata ironia che risponde alle mie domande.
Sergio, è ricominciato Colorado e non ci sei in questa edizione, come mai?
Quest’anno Colorado, in assenza di Zelig, ha puntato sui big della scorsa edizione con l’aggiunta di tanti comici di Zelig appunto. Come mai non ci sono? Non “l’ho dato” al produttore! Mi era già capitato con Weinstein ma ero giovane ed in quel caso non ho saputo oppormi!
Sei stato il vincitore di S.o.s. Cabaret 2017 con lo spettacolo “Ma non è possibile!”: di che concorso si tratta?
E’ un concorso nazionale di cabaret organizzato e gestito da “NoiDelleScarpeDiverse”, un duo comico toscano, con la collaborazione di Alan e Lenny, comici anche loro. Nonostante le grandi difficoltà del momento e i pochissimi soldi, i ragazzi tengono duro e riescono sempre a rendere questa manifestazione di alto livello. E’ un concorso a cui sono molto affezionato perché fu uno dei primi a cui ho partecipato e rifarlo ora, con più di dieci anni di esperienza, ha fatto sì che chiudessi un piccolo ciclo.
Di cosa parli in “Ma non è possibile”?
Parlo innanzitutto di me e della mia vita, quindi è uno spettacolo sempre in evoluzione. Con la nascita di mio figlio sono nati nuovi monologhi e, inoltre, cerco di mettermi a nudo parlando delle mie debolezze. Condisco ovviamente il tutto con un pizzico di satira sociale e di attualità. Il fatto di metterci dentro le mie esperienze di vita rende “Ma non è possibile!” uno spettacolo sempre originale.
Attualmente sei in tour con questo spettacolo?
Sì! Questo è lo spettacolo che da tempo porto in giro nei teatri e nelle piazze di tutta Italia, ogni anno c’è sempre qualcosa di nuovo. Ma ti anticipo che in questo momento io e Gianluca Irti, che è anche mio coautore di “Grilletto Facile”, stiamo preparando un nuovo spettacolo di satira e debutteremo a febbraio al Teatro Artemisia a Roma.
Cos’è Grilletto Facile?
Grilletto Facile è l’esperienza artistica che più di tutte mi sta dando soddisfazione quest’anno. Il tutto è partito da una Pagina Facebook in cui io e Gianluca Irti pubblichiamo video comici sull’attualità. La bellezza di questo progetto è che essendo noi stessi gli autori dei video non abbiamo alcun tipo di censura, insomma grazie a questo strumento decidiamo noi quando, come e cosa dire. La Pagina sta crescendo e abbiamo sempre più persone che ci seguono ed alcuni dei nostri video sono diventati virali sul web e soprattutto su whatsapp.
Cos’è, invece, Comicrofono? E in che modo nei fai parte?
“Comicrofono” è nato da una mia idea insieme a Fabian Grutt, Francesco Arienzo e Roberto Fei. È un laboratorio comico in cui i comici che salgono sul palco sono obbligati a fare esclusivamente monologhi senza usare travestimenti o imitare personaggi. In questo spazio cerchiamo di tirar fuori i nostri punti deboli attraverso il racconto, chiaramente il tutto viene fatto in chiave comica. Più che uno spettacolo comico diventa quasi una terapia di gruppo dove i comici non pagano e il pubblico paga una piccola somma per ridere.
Comici si nasce o si diventa?
Credo un po’ tutte e due le cose. Occorre sicuramente un forte istinto comunicativo innato e grazie allo studio e l’esperienza quell’istinto viene trasformato in mestiere.
Quando hai deciso che fare il comico sarebbe diventato il tuo mestiere?
In realtà mi sono accordo fin da piccolo di provare goduria nel far ridere le persone. In vacanza andavo sempre nei villaggi turistici con la mia famiglia e spesso venivo coinvolto dallo staff di animazione nello spettacolo serale. Ho deciso di diventare un comico professionista tardi, avevo già 26 anni, perché l’educazione dei miei genitori, che in buona fede mi hanno sempre spinto a trovare il classico posto fisso, non mi ha permesso di buttarmi a capofitto subito in quella che sarebbe diventata la mia professione.
Però poi i tuoi genitori si sono ricreduti e anche con orgoglio. Quando è successo? Cosa gli ha fatto cambiare idea?
Per la loro educazione e cultura era difficile supportarmi in quella scelta. Nella mia famiglia fare l’artista significava buttare via il tempo, i miei cugini sono tutti laureati e dottori. Poi hanno capito quando ho iniziato a stare male nel lavoro d’ufficio come informatico, non ero appagato, anzi ero proprio infelice. Così quando ho deciso con determinazione di diventare un comico e ho iniziato a fare le prime esperienze, vedendomi soddisfatto per quanto velocemente ho ottenuto risultati, i miei genitori mi hanno anche appoggiato con orgoglio.
Qual è stata la tua formazione?
Sicuramente la prima vera scuola è stata quella dell’animatore. Lì ho fatto le prime esperienze, ho imparato ad improvvisare ed interagire con il pubblico. Successivamente ho frequentato un’accademia teatrale e ho imparato le tecniche per stare su un palcoscenico che resta comunque la scuola più importante per un comico. Più si sale su un palco e più esperienze si fanno, anche negative, e più si diventa bravi.
Hai avuto modelli a cui ti sei ispirato?
Sì, ma ad ogni step della mia crescita professionale cambia un modello a cui mi ispiro. Quello che mi piace maggiormente oggi è Ricky Gervais, il monologo che amo è quello dell’incontro tra Hitler e Nietzsche.
Invece tra gli italiani chi è il comico che più apprezzi?
Ce ne sono tanti perché la comicità può essere fatta in tantissime forme ma il comico italiano che ho amato maggiormente è Roberto Benigni. Il monologo “Tutto Benigni 95-96” è stato fantastico e il film “La vita è bella” è un capolavoro.
Ti senti più siciliano o più romano?
Romano! Vivo a Roma da quando ho 3 anni.
Segui il calcio? Per chi tifi?
Seguo il calcio ma sono un pessimo tifoso perché quando la mia squadra del cuore va male mi disinteresso quasi. Forse ho sofferto talmente tanto da piccolo che ho capito che non voglio farmi cambiare l’umore per una partita di pallone. Tifo Lazio.
Ah, comprendo la sofferenza allora, sono laziale anch’io ma patologica! Perché l’Italia è uscita dai mondiali?
L’Italia è uscita dai mondiali perché è il riflesso della nostra società. Era diretta da un presidente con una mentalità vecchia e non è stata data la gestione ai giovani con una mentalità fresca che noi abbiamo. I nostri allenatori giovani e capaci che hanno vinto in giro per il mondo, come Conte e Ancelotti, vanno all’estero a dimostrare il loro valore e poi i nostri giocatori sono sopravvalutati. Avevamo dei calciatori in panchina che da soli guadagnano più di tutta la nazionale svedese messa insieme ma, fondamentalmente, sono dei giocatori nella media.