Per tutti è Totò, ma il suo vero nome era molto più lungo e pretenzioso: Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio.
Nato nel cuore del quartiere Sanità di Napoli nel 1898, è stato l’incontrastato “Principe della risata” della storia del nostro cinema.
Uomo gentile, Antonio De Curtis, chiamato fin da piccolo Totò da sua madre, era «nato bellissimo, tutto ricci e boccoli dorati» e, come ironicamente ammetteva, «fu dopo che mi guastai».

La sua genialità si concretizzerà, crescendo, in diversi ambiti artistici: oltre alla sua produzione come attore di teatro (con più di 50 titoli) e di cinema (con 97 film), Totò riuscì a splendere come drammaturgo, cantante e soprattutto poeta. Tra i suoi più celebri componimenti ricordiamo «‘A livella» e «Si fosse n’auciello» e la memorabile «Malafemmena», scritta nel 1951.

Generoso, onesto, da sempre innamorato delle belle donne che definiva «la cosa più bella che ha inventato il Signore», Totò fu anche un grande amante degli animali: infatti sostenne, economicamente, vari canili e gattili della città di Napoli. Commissionò a due tecnici dell’Università una protesi a due ruote per Mosè, randagio senza zampette posteriori.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi nella completa cecità indossando pesanti occhiali neri che toglieva soltanto sul set. E, all’improvviso, mentre recitava, si muoveva spedito e veloce, come se vedesse, di nuovo, perfettamente tutto. Amava dire che in quel momento si realizzava un “piccolo miracolo”.

Il “grande clown”, come lo definì Vittorio De Sica, ottenne il vero riconoscimento della sua arte solo dopo aver recitato nel ’66 in “Uccellacci e uccellini” di Pasolini. Finì nel 1967 nella sua casa romana: la cultura italiana ne capì grandezza e modernità a morte avvenuta.
Tutto esaurito al suo funerale nella Basilica del Carmine Maggiore: Napoli piangeva quella parte di sé che stava salutando per sempre e che sarebbe rimasta, per le generazioni a seguire, un irraggiungibile esempio di comicità. Nell’orazione funebre Nino Taranto disse: «Totò, credo che questo sia stato uno dei più grandi spettacoli della tua carriera».

Fumatore dalle 90 sigarette quotidiane, animo puro e amico leale (basti pensare al sodalizio prima umano poi professionale con Peppino De Filippo), Totò detiene un primato curioso: ogni giorno in tv trasmettono uno dei suoi film.

Siamo l’unica cellula vitale di un palazzo di via dei Mille dove abbondano badanti, cani antipatici e zanzare senza scrupoli. Beviamo più caffè che acqua e gli unici contratti a tempo indeterminato li abbiamo fatti alle sigarette. Passiamo la giornata a sfotterci, a spettinare idee, a soffrire con entusiasmo e a ricevere tutti i pazzi che riescono a trovarci. Il problema è che ritornano anche, perché ormai ci considerano una Onlus.

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